Si alza sempre di più l’asticella del Gruppo farmaceutico italiano Menarini, che chiude il 2024 con un fatturato consolidato pari a 4 miliardi e 603 milioni di euro, in crescita del 5,2% rispetto al 2023. Un trend dal segno più, che surclassa anche quello dello scorso anno, che con 4,375 miliardi di euro, aveva portato a casa il migliore risultato di sempre. L’Ebitda si assesta a 460 milioni di euro, contro i 350 milioni dello scorso anno.
I numeri sono stati snocciolati dal Board della Menarini nel corso di un incontro con la stampa alla Camera di Commercio di Firenze. Cifre che collocano la farmaceutica fiorentina, prima in Italia e presente in 140 Paesi, fra le prime 32 Aziende del mondo.
È stato un anno indubbiamente positivo per il Gruppo che in tre anni ha recuperato le perdite determinate dalla scadenza di brevetto di due farmaci strategici per la casa farmaceutica, portandola a superare ampiamente il tetto dei 4 miliardi di fatturato. “Questo è un motivo di grande soddisfazione – ha detto Lucia Aleotti, azionista e membro del board di Menarini – abbiamo recuperato le perdite e siamo cresciuti. Due i nostri highlights, quello storico della primary e specialty care che sfiora da solo i 4 mld di euro e quello nell’area oncologica, un innesto giovane nella nostra azienda che grazie agli investimenti negli Usa ha prodotto 530 milioni di fatturato nel 2024 rispetto ai 314 del 2023”.
Insomma, Menarini è cresciuta soprattutto a livello internazionale. Negli Usa, in particolare, è diventato il secondo paese più attrattivo dopo l’Italia. E i dazi imposti dall’America non preoccupano il Gruppo anche perché, ha spiegato Aleotti: “Negli Stati Uniti abbiamo un piccolo stabilimento di produzione diagnostica e lavoriamo con aziende americane in conto terzi che producono farmaci oncologici sul suolo Usa. Non abbiamo quindi una tematica di dazi”.
Se gli Usa non preoccupano è invece la politica europea sotto osservazione: “L’Europa si è fatta e si fa male da sola – ha detto Aleotti – Draghi ha parlato di dazi autoinflitti dalla Ue che ha imposto a se stessa regole, burocrazie, tracciature e soprattutto obblighi”. Paradigmatico per Aleotti è l’andamento delle sperimentazioni cliniche a livello mondiale: “Meno di dieci anni fa le aziende USA erano al primo posto e al secondo posto a stretto giro c’erano quelle europee. La Cina era molto lontana. C’è stato un ribaltamento e le aziende europee sono crollate, tutto quello che è stato perso è stato conquistato dalla Cina che ha spinto all’innovazione. Purtroppo la Ue ha voluto imprigionare lo spirito imprenditoriale. E non c’è niente di peggio che frenare la crescita e la competitività degli imprenditori a livello globale imprigionandoli in una ragnatela di regole ed obblighi che non tengono minimante in considerazione la situazione globale Il nostro è un settore nobile, ricco di scienza e ricerca che l’Europa si sta facendo scappare con scelte miopi”.
Rincara la dose la Ceo del Gruppo. “Non è di certo una buona notizia il fatto che verranno imposti dazi del 25% da parte dell’America – ha affermato Elcin Barker Ergun, amministratore delegato di Menarini – molte aziende europee dovranno riorganizzarsi attraverso il re-shoring. Noi non avremo un impatto, ma nell’insieme è un punto importante. Così come staremo a vedere se gli interventi attuati a livello delle agenzie federali dal dipartimento Doge rallenteranno gli iter di approvazione dei farmaci. Il processo è appena iniziato e fortunatamente noi abbiamo già fatto le nostre registrazioni chiave, ma tra qualche mese penso che l’impatto sarà inevitabile, con molti tecnici che peraltro si stanno dimettendo e che hanno però delle expertise importanti difficilmente sostituibili. Per quanto riguarda Menarini abbiamo registrato una crescita superiore al 5% per il terzo anno di seguito, nonostante la perdita del brevetto su due farmaci chiave che ci hanno portato via il 10% delle entrate. Lo sapevamo, ci siamo preparati, abbiamo investito in innovazione e rafforzato la nostra presenza in oncologia nel mercato chiave degli Stati Uniti, dove abbiamo trattato circa 10.000 pazienti con il nostro farmaco contro il cancro del seno, che ora progettiamo di registrare nell’early stage. Sono fiera di poter dire che negli Usa abbiamo generato 530 milioni di fatturato partendo da zero. Dal nostro osservatorio abbiamo potuto notare che le cose negli Stati Uniti vanno molto meglio che in Europa, parlando di tempi di approvazione delle terapie innovative: poche settimane dopo il via libera sono rese disponibili ai pazienti. In Europa possono passare anche 2-3 anni”.
Ritornando alle performance del Gruppo, come ha ricordato Lucia Aleotti, sono stati investiti in R&S 500 mln di euro, pari all’11% del fatturato totale. Soprattutto sono state vinte anche alcune sfide nella vecchia Europa. Mentre la Cina non ha risposto alle aspettative. “Alcuni Paesi europei – ha detto Aleotti – hanno performato in maniera positiva, come Spagna e Polonia. La Cina invece non ha mantenuto le nostre aspettative. Avevamo raggiunto nel 2022 un fatturato 200 milioni di euro, invece nel 2024 abbiamo chiuso con 155 mln, ma guardiamo con fiducia al 2025. Turchia e Africa hanno raggiunto 270 mln di fatturato”.
Continua quindi la crescita in termini quantitativi con 18 stabilimenti produttivi in Europa, cuore pulsante del Gruppo e 875 milioni di confezione prodotte di cui 609 internamente. Nove i centri di ricerca e sviluppo, 2 collocati oltre Oceano a ovest a New York e Philadelphia, uno ad est a Singapore e i restanti a Barcellona nella storica sede di Berlino e poi in Italia a Firenze, Pisa, Bologna e Roma. Il fatturato consolidato si è sviluppato per il 79% all’estero e per il 21% in Italia, ed è per il 96% legato al farmaceutico (residuale la diagnostica). Nel 2024 i dipendenti hanno toccato quota 17.800 (il 91% laureati e tecnici), in crescita costante dal 2020 quando erano 16.750.
“La nostra filosofia – ha concluso Aleotti – è quella di un’azienda lontana dalla speculazione finanziaria. Siamo un’azienda che punta a crescere attraverso un autofinanziamento: gli utili degli azionisti sono sempre stati reinvestiti per affrontare sempre nuove sfide”.
di Ester Marago e Barbara Di Chiara